La prima volta che mi sono imbattuto nel termine Sabir è stato leggendo “Blues di mezz’autunno” di Santo Piazzese (Sellerio editore Palermo), a pagina 67 del romanzo si legge: “[…] Quando il nome in siciliano non gli affiorava, ricorreva all’arabo o al francese, e qualche volta a un idioma strano, che non riuscivo a identificare, e che oggi penso potesse persino corrispondere a una qualche sopravvivenza del Sabir, la lingua franca parlata in tutto il Mediterraneo, ed estinta da più di un secolo: un misto di lingue a dialetti delle coste, da nord a sud, da est a ovest”.
È esistita dunque nel Mediterraneo, e in particolare sulle nostre coste e nei nostri porti siciliani, per almeno tre secoli, dal XV al XVIII, una lingua grazie alla quale Siciliani, Arabi, Turchi potevano parlare fra loro senza bisogno di traduttori. Usavano appunto il Sabir, un pidgin[1] nato per agevolare le relazioni commerciali ma che diventò mezzo di comunicazione di tutti i naviganti, che insistevano nel bacino del Mediterraneo, e per molti abitanti delle coste.
Guardando al Mare Nostrum di oggi, quello che per volere di Salvini e dei suoi sodali ha visto trasformare la sua natura da ponte tra due mondi a “cortina di ferro”, si stenta a credere nell’esistenza di una koinè linguistica come il Sabir parlato in tutti i porti del Mediterraneo, un misto di siciliano, veneto, francese, spagnolo ed arabo, indispensabile per chiunque volesse agire sul mare o con il mare.
L’origine del termine Sabir non è chiara, si pensa possa trattarsi di una storpiatura del termine spagnolo saber traducibile con “sapere”. È facile pensare che la natura di questo “sapere” non facesse riferimento al piano ordinario dell’esperienza, che avesse una sorta di aura iniziatica, determinata dalla difficoltà che comportava conseguirne la padronanza. Era il mare a selezionare gli iniziati e a stabilire gradi progressivi di conoscenza, creando continuità e complicità in tutti i popoli del Mediterraneo.
Un aspetto importante era quello religioso. Infatti, parlare correttamente veneto o siciliano, cioè lingue dei cristiani, era forse considerato in qualche modo disdicevole per un musulmano. Lo stesso dicasi il contrario: parlare l’arabo, lingua dei musulmani, per i cristiani. In realtà non risulta che vi sia mai stata una proibizione esplicita in questo senso. La lingua sabir però, essendo soprannazionale, di fatto si sganciava dalle religioni proprie dei territori, nei confronti della lingua franca non vi era quindi nessuna interdizione. Insomma le due religioni principali convivevano pacificamente tanto che, leggiamo nel numero di Agosto della rivista “Gattopardo”, il santuario della Madonna di Porto Salvo a Lampedusa conserva la memoria di un uomo, Andrea, diventato leggendario perché accoglieva cristiani e musulmani e praticava il doppio culto, croce e mezzaluna. Una storia di speranza e di pace, che di questi tempi dovrebbe servire da esempio.
Davanti all’immagine della Madonna di Lampedusa, bruciava sempre una lucerna. Un eremita, probabilmente si chiamava Andrea, la alimentava e la leggenda vuole che pregasse in Sabir. Tutti adoravano la Madonnina, fossero cristiani o saraceni: perché anche nell’Islam, la madre del profeta Gesù, era riconosciuta come Maria. Simbolo di convivenza pacifica.
Il Sabir era dunque una lingua di pace, utile a farsi comprendere e diffusa in tutto il Mediterraneo e anche se non si legava a nessuna religione in particolare, ho trovato e vi voglio condividere…
Padri di noi, ki star in syelo, noi voliri ki nomi di ti star saluti. Noi volir ki il paisi di ti star kon noi, i ki ti lasar ki tuto il populo fazer volo di ti na tera, syemi syemi ki nel syelo. Dar noi sempri pani di noi di cada jorno, i skuzar per noi li kulpa di noi, syemi syemi ki noi skuzar kwesto populo ki fazer kulpa a noi. Non lasar noi tenir katibo pensyeri, ma tradir per noi di malu. Amen
[1]Un pidgin (in inglese: /’pɪdʤɪn/) è un idioma derivante dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti, venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni, relazioni commerciali.