Non sappiamo se in questi tempi difficili ci siano ancora bambini che giocano a “ciciru”. Uno strano gioco che si faceva molti anni fa e che coinvolgeva i ragazzi di queste terre in lunghe sfide, a volte cruente, che duravano finché le madri non li richiamavano a casa urlando dai balconi.
Si giocava in due squadre di qualunque numero, ovviamente uguale, di partecipanti agguerritissimi. C’era prima la conta che decretava quale squadra andava “sotto” e quale invece saltava in groppa alla perdente nella conta. Uno dei componenti della squadra che andava “sotto” prendeva posto chinandosi in avanti, appoggiando le mani ad un muro, gli altri prendevano posto dietro al primo, in sequenza, chinandosi anch’essi in avanti, con la testa appoggiata al sedere del compagno precedente abbracciandolo alle cosce. Si formava così una fila di schiene, che poteva essere piuttosto lunga (tavula longa), se i partecipanti erano numerosi, pronte a sopportare il peso dei componenti dell’altra squadra, che avrebbero dovuto saltare tutti addosso ai primi, restandovi finché uno dei componenti della squadra che stava sotto non “squaracchiava”, ovvero finché non gli cedevano le gambe. I componenti della squadra che stava “sotto” dovevano a loro volta cercare di disarcionare lentamente gli avversari, naturalmente senza dare loro delle scosse visibili, che erano proibite, cercando, spostandosi a destra e a sinistra, di fare toccare con il piede a terra coloro che stavano sopra. Toccando il piede a terra perdevano e andavano sotto.
Era un gioco che presupponeva una forte resistenza fisica, ma anche la furbizia di capire quando l’avversario era in difficoltà per cercare di approfittarne. A volte l’avversario, che stava sopra, tendeva a scivolare, aggrappandosi il più possibile ad un altro compagno, questo innescava una sorta di frana collettiva, che difficilmente poteva essere evitata. Quando un componente della squadra di sopra era in difficoltà chi stava sotto faceva un ulteriore sforzo di resistenza, spesso però questa resistenza veniva fiaccata dal peso degli avversari e allora non rimaneva altro che urlare “Ciciru!”. Ecco che a quel punto si interrompeva la partita e si andava di nuovo alla conta.
Quale origine possa avere l’urlo “Ciciru!” è difficile da stabilire. In realtà la prima cosa che salta in mente è un episodio che riguarda la guerra del Vespro e i francesi invasori.
Così lo racconta Gaetano Basile: <<Il nome “ciciru” resta legato alla rivolta del Vespro con cui ci sbarazzammo di re Carlo d’Angiò e dei suoi francesi. La rivolta scoppiò il 31 marzo 1282 all’ora del Vespro del lunedì di Pasqua. Però la Pasqua quell’anno cadde il 29, per cui il 31 era martedì, quindi la data esatta fu il 30. Pazienza. Cominciò tra i vicoli della Palermo medievale la caccia ai francesi. Si dice che per riconoscerli li obbligammo a pronunciare cìciru che quelli storpiavano in sisiru>>.
Nel gioco però non funzionava propriamente così, infatti quando una delle due squadre urlava il fatidico “ciciru” si andava alla conta. Chi perdeva finiva sotto. Quando i componenti del gioco erano tanti si aveva la cosiddetta variazione della “Tavula longa”, che era più o meno lo stesso gioco ma che presupponeva alcuni componenti di grande agilità, perché i primi a saltare dovevano necessariamente andare il più avanti possibile per lasciare il posto agli altri, per questo motivo si preferiva far saltare prima i più agili.
Prima della conta c’erano i cosiddetti “patti”, questi patti servivano ad evitare che i componenti delle due squadre si potessero fare male. Si stabiliva che si doveva saltare senza “carricuna”, ovvero senza accentuare l’impatto sulla schiena dell’avversario. Quando la “tavola” era corta, non rispettando il patto, anti “carricuna”, era più in pericolo sicuramente il primo, quello cioè che si ritrovava con la faccia più vicina al muro. I patti spesso saltavano e si finiva per “caricare” pesantemente l’avversario. Spesso chi aveva ricevuto il “carricuni”, si sentiva in dovere di vendicarsi sull’avversario. Quando il gioco “incarogniva” ulteriormente chi saltava, al posto di poggiare il palmo della mano aperto sulla schiena dell’avversario, stampava due pugni sul groppone del povero avversario…
“Ciciru” era quindi un gioco molto maschio, che si svolgeva spesso davanti agli altri. Presupponeva prestanza fisica, forza ed agilità. Giocando si faceva palestra. Le gambe facevano “squat”: tonificando e rinforzando la muscolatura degli arti inferiori; le braccia facevano “curl”, un esercizio muscolare per allenare braccia e bicipiti e così via discorrendo… ma soprattutto c’era divertimento e complicità…