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Testa di zorbu!

Testa di zorbu! Vi è mai capitato di sentirlo dire? Quest’espressione sembra quasi omologa a “testa dura”. In realtà una facile spiegazione potrebbe essere legata alla durezza del legno di sorbo, tanto che si legge in un sito specialistico: “Il legno di sorbo può presentare occasionalmente, al suo interno, dei depositi di corteccia molto scuri, tendenti al nero, chiamati dipinte. La lavorabilità del legno è relativa, dal momento che, già duro di suo, essiccandosi tende a indurirsi ulteriormente, rendendo le operazioni di taglio oltremodo difficoltose”. Quindi il legno di sorbo è particolarmente duro e una testa di zorbu può essere una persona con la testa particolarmente dura. Il mio amico Graham Clifford sostiene l’esatto contrario, che l’espressione fa riferimento non tanto alla durezza dell’albero quanto alla squacquerartezza del frutto, quindi l’espressione farebbe pensare a cose come: hai il cervello in pappa. Poiché Graham è irlandese e io siciliano mi tengo la mia spiegazione e “testa di zurbu” continuo a considerarla testa dura!

La bontà nella marginalità  

I frutti autunnali, specie quelli più marginali: le nespole invernali, i caccami, i cachi, le sorbe, portano in loro la bellezza e al tempo stesso la tristezza della stagione. La campagna sicana in autunno si tinge di colori straordinari,  attingendo ad una meravigliosa tavolozza di tonalità dorate, così come straordinari sono i suoi frutti. Quasi tutti necessitanti di ammezzimento, cioè del processo di maturazione che ne provoca l’imbrunimento della polpa,  indispensabile perché le nostre sorbe siano commestibili. Il sorbo domestico (Sorbus domestica) è un albero da frutto dall’elevato valore ornamentale molto comune nei monti sicani, durante una salutare passeggiata autunnale ci sorprenderà, svettando, con i suoi frutti gialli e rossi. Coltivato da secoli per i suoi frutti, le sorbe, era molto apprezzato dagli antichi romani che ne andavano ghiotti. I Romani lo fecero conoscere al resto dell’Europa. Virgilio, nelle Georgiche (III, 380), narrando di popolazioni che vivevano nell’Europa dell’Est, a nord del Mar Nero, racconta che dopo le caccie al cervo nella neve si riunivano in grotte dove accendevano grandi fuochi e “…trascorrono la notte nel gioco, e allegri imitano la bevanda delle vigne con quelle di orzo fermentato e acide sorbe”. L’etimologia del latino sorbus è incerta: secondo alcuni deriverebbe dal verbo sorbeo = bere, assorbire, in quanto i frutti del sorbo arrestano i flussi dell’intestino. Di questo avviso terapeutico del sorbo erano Dioscoride e Galeno. Tuttavia, pare assai più verosimile un’etimologia indoeuropea, da *sor-bho = rosso, il colore dei frutti.

Gli “zorbi” e la magia

 Mia madre ne appendeva due rametti nel balcone per fare modo che i frutti maturassero (forse sarebbe meglio dire marcissero) per poi poterli mangiare. Ogni mattina procedevo all’ispezione dei frutti e appena uno si deformava mollo tra le due dita, era pronto per essere mangiato. Ma siamo sicuri che si appendevano fuori solo per poterle mangiare? In molte leggende il sorbo è una pianta molto importante, che protegge chi ne possiede un esemplare ed anche chi, semplicemente, decide di appenderne una fascina o una ghirlanda alla porta o alla finestra, scacciando in questo modo gli spiriti maligni. Se vi fate un giro per le campagne dei Monti Sicani vi capiterà spesso di trovarlo vicino alle case o anche davanti alle chiese di campagna, forse per tenere lontane le streghe e come protezione contro le energie negative. Si narra che i Druidi e i maghi da questa pianta ricavassero le loro straordinarie bacchette divinatorie e che l’indossare il legno di sorbo aumentasse notevolmente i poteri psichici. Un antico amuleto di protezione veniva costruito con questa pianta, ed utilizzato in Scozia e in Cornovaglia, usando due ramoscelli legati fra loro in modo da formare una croce.

         Chissà se funziona davvero? ma anche se non dovesse funzionare… mangeremo delle ottime sorbe e faremo il pieno di preziose vitamine (A, B1, B2, C, E e PP).


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