Per definire il genocidio degli ebrei vengono utilizzati due termini: Olocausto e Shoah.
Il primo, utilizzato prevalentemente per il quarantennio successivo alla seconda guerra mondiale (1939-1945), vede la sua etimologia nel greco antico (olos tutto e causton brucia). Esso ricorda un tipo di sacrificio diffuso tra diversi popoli dell’antichità (tra cui greci, romani ed ebrei) che prevedeva che l’animale venisse completamente bruciato senza che la comunità potesse consumarne una parte.
Il termine Olocausto, scelto per l’immediato richiamo all’incenerimento dei corpi nei forni crematori, porta però con sé l’idea di sacrificio e di offerta alla divinità e restituisce un messaggio fuorviante e potenzialmente offensivo nei confronti delle vittime.
La maggior parte degli studiosi, quindi, considera più appropriato la parola Shoah, derivante dalla lingua ebraica e utilizzata nella Bibbia con il significato di catastrofe, disastro e distruzione. Il termine era già stato adottato nel 1951 in Israele con l’istituzione della giornata nazionale dedicata alla commemorazione dello sterminio (yom ha-shoah). In Europa, invece, è entrato a far parte del linguaggio pubblico, sostituendo appunto la traduzione dall’inglese di Holocaust, nella metà degli anni ‘80 grazie allo straordinario successo dell’omonimo film di Claude Lanzmann.
Oggi, appunto, Shoah definisce il progetto di sterminio nazista e viene utilizzato dagli storici con due accezioni.
La prima è strettamente riferita alla “Soluzione finale della questione ebraica” – espressione coniata dal nazismo per indicare il piano di eliminazione sistematica degli ebrei che vivevano su suolo tedesco o occupato dalla Germania – teorizzata per la prima volta nel 1941, discussa durante la conferenza di Wannsee nel 1942 e portata avanti fino al termine della seconda guerra mondiale nel 1945
La seconda accezione, invece, oltre allo sterminio, include anche la legislazione antiebraica, applicata in Germania nel 1935 con le leggi di Norimberga e in Italia nel 1938 con le leggi razziali.
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La Shoah si inserisce all’interno di una storia di antisemitismo di lungo corso, basata su pregiudizi e ostilità millenarie che si sono tramandati nel corso del tempo. Un terreno antico e già fertile, quindi, a cui il nazismo ha aggiunto una sua impostazione biologico-razzista. Secondo le leggi di Norimberga, infatti, venivano considerati ebrei o di sangue misto tutti coloro che avevano almeno un nonno ebreo, indipendentemente dal fatto che si considerassero ebrei o che si fossero convertiti ad altre religioni.
Seguendo questa impostazione, i nazisti si proposero la distruzione totale e indiscriminata di ogni cittadino classificato di razza ebraica, considerando gli ebrei un pericolo per la sicurezza nazionale e la purezza della razza ariana.
Non bisogna dimenticare che nell’obiettivo di una totale purificazione razziale rientrava – secondo l’ideologia nazista – anche l’eliminazione di Rom, Sinti, omosessuali, testimoni di Geova che furono infatti deportati nei campi di concentramento e sterminio.
Fonte: /www.scuolaememoria.it/site/it